Discostarsi dalle previsioni sulla ripartizione degli utili dell’attività in conto terzi (dirigente scolastico)
La Corte dei conti della Toscana ha condannato un dirigente scolastico per danno erariale. Quest'ultimo, infatti, per oltre cinque anni, aveva distribuito ai dipendenti (e a sé stesso) un salario accessorio superiore a 7,4 milioni di euro ricavato da attività extracurricolari di gestione di attività in conto di terzi (un laboratorio). La procura contabile aveva individuato il danno erariale come derivante dall'illegittima gestione dei proventi del laboratorio in quanto "entrate pubbliche appartenenti alla scuola", non ripartibili secondo le modalità adottate nel quinquennio di riferimento, e dunque aveva ricostruito la responsabilità della gestione ascrivendola a dolo contrattuale per "gravissima disapplicazione degli obblighi di servizio e violazione delle norme disciplinanti la materia dei compensi del personale scolastico" ovvero, subordinatamente, a colpa "gravissima". Tuttavia il collegio contabile ha ritenuto il danno erariale attribuibile soltanto al dirigente scolastico per non aver evocato la Procura sia gli altri componenti del Consiglio di Istituto sia i Revisori dei conti, che hanno l'obbligo di verifica delle risorse destinate al salario accessorio.
Il fatto
La contestazione di danno erariale nella vicenda in questione insiste sulla non corretta gestione dei fondi provenienti dall'attività in conto terzi svolta dal laboratorio di analisi di un istituto tecnico professionale consistente nell'erogazione di compensi al "personale dell'istituto (dal dirigente scolastico all'addetto alle pulizie) nonostante si trattasse di danaro pubblico, entrato nel bilancio dell'Ente e, come tale, non distribuibile al personale con le modalità con cui sono stati corrisposti". L'istituto tecnico in questione era dotato di laboratorio di analisi per attività didattica, utilizzabile anche per attività in conto terzi, da svolgersi dai docenti secondo quanto previsto dallo Statuto fondativo e dal Regolamento interno e nel quadro delle leggi all'epoca vigenti. Inoltre grazie alla certificazione ISO 9.000 e Accredia ISO 17.025 il laboratorio aveva potuto ampliare la propria attività ricevendo commesse importanti e realizzando un fatturato sino a 6 milioni di euro di fatturato annuo.
La ripartizione dei proventi dell'attività per conto terzi
Gli incarichi di attività presso il laboratorio erano assegnati dal dirigente scolastico previa deliberazione del Consiglio d'Istituto che, disponevano, a favore degli operatori che prestavano attività nel laboratorio, la quota complessiva del 45% del fatturato incassato e, a favore della Scuola, la quota del 55%, con conteggio e liquidazione sull'incassato su base mensile. Venivano poi ripartite in modo del tutto analogo, le percentuali spettanti, in primis al dirigente scolastico, nella sua qualità istituzionale di responsabile dell'amministrazione del conto terzi del laboratorio, con assegnazione del 3,42% del fatturato mensile lordo incassato. Il 10,08%, sempre sulla medesima base mensile, era assegnato al personale ausiliario, tecnico e amministrativo (ivi compresa la DSGA della scuola, per la tenuta della contabilità del conto terzi) ed era rimesso, per l'assegnazione della quota spettante a ciascuno, alla competenza del dirigente, secondo criteri di impegno e collaborazione dimostrati. Il restante 31,50% era destinato, sempre su base mensile, al restante personale tecnico (docenti), con ripartizione anche in questo caso rimessa al dirigente, in funzione del tipo di responsabilità e del carico di lavoro. La parametrazione dei compensi secondo il criterio delle quote percentuali rispecchia, comunque, una storica prassi della Scuola. L'importo spettante al beneficiario era, poi, conteggiato su base mensile e il corrispondente pagamento avveniva tramite cedolino di PagoPA.
Normativa di riferimento
Quindi la procura erariale toscana contestava una serie di gravi irregolarità, quali, la violazione del principio di "fini esclusivamente didattici" assumendo il laboratorio tutte le caratteristiche di un'attività economica d'impresa svolta sul mercato e dell'obbligo sancito anche dalle attuali prescrizioni del regolamento di contabilità scolastica di inserire in una programmazione formalizzata, con preventivo di entrate e stanziamenti di spesa, e indicazione dei criteri di amministrazione e delle modalità di gestione del progetto. Pertanto la procura erariale segnalava le seguenti violazioni:
- dell'art. 33 del D.I. n. 44/2001, nel punto in cui prevedeva che il Consiglio d'Istituto detti criteri e limiti per l'attività a favore di terzi del dirigente scolastico (ancora attuale secondo il D.I. n. 129/2018);
- dell'art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 per cui "il trattamento economico fondamentale ed accessorio […] è definito dai contratti collettivi";
- dell'art. 24, comma 3, del d. lgs. n. 165/2001 da parte del dirigente scolastico, che si remunerava per la qualità di responsabile di laboratorio, mentre si tratterebbe di "incarico conferito in ragione del proprio ufficio";
- del limite del tetto stipendiale dei dipendenti pubblici che ai sensi dell'art. 23-ter, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 e successive modifiche ed integrazioni, è pari attualmente ad € 240.000,00 lordi annui;
- della quota percentuale del 25% dell'entrata stipendiale lorda annua percepibile per "incarichi" da parte di tutti i dipendenti pubblici, ai sensi dell'art. 23-ter, comma 2, del d.l. 201/2011 come integrato dall'art. 1, commi 471 e 473, della legge n. 147/2013.
La ripartizione dei proventi dell'attività conto terzi
Secondo il giudice contabile seppur sia consentito ad alcuni istituti scolastici di svolgere attività di vendita di beni e servizi a favore di terzi, questa deve essere configurata quale attività ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quelle didattiche e di formazione, da svolgersi al di fuori dell'orario scolastico richiedendo infatti una contabilità separata dalla contabilità ordinaria, limitando la sua rilevazione nel bilancio scolastico in due voci di "attività per conto terzi", in parte entrata ed in parte spesa. Ne consegue che le entrate derivati dall'attività (finanziata a "proprio" e non dallo Stato) non debbano confluire nel salario accessorio ma vadano utilizzate per la remunerazione aggiuntiva del personale scolastico che ha seguito i lavori. Neppure i proventi da conto terzi del dirigente refluiscono nel fondo accessorio perché gli incarichi da svolgere per rientrare nel profilo di dirigente retribuito tramite accessorio sono: "(i) gli incarichi assegnati dal Ministero o dall'USR, contenuti in apposito elenco, obbligatori; (ii) l'attività libero professionale, che, per la categoria, non necessita di autorizzazioni; (iii) gli incarichi assunti sulla base della deliberazione di organi scolastici per programmi o progetti "con finanziamento esterno"; (iv) gli incarichi aggiuntivi diversi da quelli sopraddetti, soggetti ad autorizzazione "previa valutazione da parte del Direttore Generale regionale della compatibilità dell'incarico".
Quindi l'attività svolta da questo istituto nel laboratorio non poteva rientrare nell'elenco appena esposto, dato che si trattava di vendita sul mercato di beni o servizi prodotti in sede di didattica e di formazione e non di un'attività libera professionale, in quanto ha richiesto il lavoro di profili gestionali dell'attività scolastica, né di un incarico aggiuntivo, soggetto ad autorizzazione del Direttore generale dell'USR.
Secondo la circolare n.780/1988 del MEF, la retribuzione complessiva di personale ausiliario, tecnico, amministrativo e scolastico deve essere il 40% nettizzato dei proventi dell'attività in conto terzi, così da garantire il 60% al bilancio della scuola. Quindi si configura la prima violazione in quanto la quota destinata ai dipendenti pubblici in specie era diversa rispetto a quella indicata in circolare: 45% del fatturato netto incassato contro il 40% degli utili nettizzati della circolare, quindi il 55% a favore della scuola contro il 60% della circolare. Oltre a ciò, essendo un'attività extracurricolare, l'eventuale costo del personale impiegato deve avere regolare e specifico contratto di lavoro, non già quello del personale scolastico chiamato per un'attività aggiuntiva, e svolgerlo a tempo pieno. Anche in questo caso tuttavia all'aumentare degli utili annuali non è diminuita la percentuale della quota spettante ai dipendenti scolastici incaricati del conto terzi (che avrebbe dovuto essere calcolata con un limite dello 0,25%).
La motivazione per il discostamento dalle percentuali previste
Nonostante la regolazione delle quote percentuali di pertinenza del personale scolastico incaricato del conto terzi sia contenuta in una circolare, non avente, di per sé, natura di fonte del diritto e, quindi, non vincolante per l'Amministrazione, la facoltà per il Consiglio d'Istituto di discostarsi dai valori numerici ivi indicati deve essere supportata da una motivazione giustificativa avente i caratteri della ragionevolezza e della proporzionalità.
Afferma, al riguardo, la giurisprudenza amministrativa, che "Con riferimento alla natura delle circolari, deve essere rammentato come i loro effetti, di norma, sono destinati a prodursi nella sfera giuridica interna della stessa amministrazione, vincolando gli organi e gli uffici subordinati al rispetto di quanto in esse contenuto, a pena di illegittimità degli atti adottati in senso difforme per eccesso di potere. Come più volte evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, per vero, "si deve infatti ritenere che gli uffici cui la circolare è rivolta siano onerati, qualora intendano discostarsi dalla circolare, da un obbligo motivazionale circa le ragioni della non condivisione degli indirizzi espressi nella circolare medesima, pena l'eccesso di potere per carenza di motivazione e per contraddittorietà fra atti" (T.A.R. Campania, Napoli, sent. n. 3380/2012)."
Pertanto, ben potrebbe l'organo decisionale scolastico prevedere, come di fatto, nel caso di specie, ha previsto, percentuali di riparto diverse, e cioè il 45% (peraltro del fatturato incassato, e non dei proventi nettizzati delle spese, ossia degli utili) a favore del personale a fronte del 55% a favore della scuola, salvo, tuttavia, l'obbligo di motivazione espressa che, però, dalle delibere di Consiglio d'Istituto prodotte agli atti, non risulta.
Al contrario, non potrebbe, diversamente da come in concreto è stato fatto, venire meno al principio di proporzionalità inversa tra quota percentuale spettante al singolo dipendente e fatturato netto, neppure motivando, in quanto, come appena visto, questo è espressione di un principio fondamentale dell'ordinamento per cui l'attività scolastica ha principalmente finalità di didattica, istruzione e formazione, e non può essere volta in via esclusiva o prevalente a perseguire fini di lucro.
Nonostante le delibere di Consiglio d'Istituto che hanno regolato il riparto dei proventi da conto terzi avessero comunque natura regolamentare, la Corte erariale ha ritenuto non sanati tali vizi di legittimità:
- dal difetto di motivazione in ordine alla decisione di assegnazione al personale scolastico di una quota diversa rispetto a quella indicata in circolare, 45% del fatturato netto invece che 40% degli utili;
- dalla violazione delle disposizioni normative primarie che sanciscono il fine principalmente didattico degli strumenti a disposizione della scuola (quali sono i laboratori), sovvertendolo in fine di lucro a mezzo della mancata applicazione del criterio della proporzionalità inversa per cui, all'aumentare degli utili deve diminuire la quota spettante ai dipendenti scolastici incaricati del conto terzi. Dunque i regolamenti d'istituto avevano disposto dei proventi dalle attività in conto terzi in difformità in modo non motivato nel primo caso e, nel secondo caso, persino in maniera arbitraria.
In sintesi il dirigente scolastico, quale membro del Consiglio d'Istituto, non è abilitato a distribuire il salario accessorio, rinveniente dalla gestione separata in conto terzi, in modo difforme ai principi e alle regole previste per i dipendenti pubblici, non adeguandosi alle indicazioni delle circolari del Mef. Con queste motivazioni la Corte dei conti della Toscana ha infine condannato soltanto il dirigente scolastico alla quote di danno erariale per l'eccedenza considerevole delle indennità economiche distribuite.
Corte dei conti della Toscana (sentenza n.269/2023)